Ci siamo fermati, molti resteranno indietro, pochi evolveranno.

È un dato di fatto che alcuni capisaldi del nostro comune sentire soffrano di una crisi profonda e radicata. Religione, scuola, sport, politica e informazione, infatti, stanno subendo in Italia un’oggettiva involuzione quantitativa e qualitativa.
La conoscenza rende liberi, afferma qualcuno. E noi abbiamo subappaltato la nostra libertà a pochi mestieranti del nulla di cui ammiriamo l’inconsistenza dinanzi ad uno schermo, magari ne celebriamo la vacuità in uno di quegli stucchevoli format televisivi triti e ritriti, spesso li eleviamo al rango di idoli perché noi stessi ci siamo fermati dinanzi alla possibilità di essere, finalmente, liberi.
Forse per paura o forse per educazione, è come se avessimo rallentato, se non addirittura bloccato, il nostro processo evolutivo con tutte le ricadute sociali e civili del caso.

I dati recenti, ad esempio, indicano una sempre minore frequenza dell’ambiente ecclesiale; dall’oratorio ai matrimoni religiosi, dai battesimi alle feste comandate, è un fuggi fuggi dalle acquasantiere, al punto che ormai si aspetta che qualcuno passi a miglior vita per dare linfa all’offertorio.

E la scuola? Mentre assistiamo ad un rimescolamento di vecchi e nuovi ordinamenti, sperimentazioni e format didattici che sembrano usciti dalla penna di Stephen King, i numeri OCSE indicano una sempre più diffusa incapacità degli studenti nel far di conto o mettere in fila soggetto, predicato e complemento con un minimo di logica grammaticale. Il tutto ben condito da un ginepraio di regolamenti che ha come unica costante 200 giorni di lezione e 165 giorni di vacanza (!); un rapporto scriteriato, figlio di un modello arcaico dove il padre lavorava la campagna e la madre badava al focolare domestico.

Se ci affacciamo sul mondo dello sport, ahinoi!, l’alto numero di praticanti soffoca nel mare di scuse reiterate, a partire da quella dei fondi sempre più esigui concessi dall’ente pubblico per giustificare un calo di prestazioni che, a titolo di esempio emblematico, ha trovato il suo apice lo scorso 13 novembre quando la nazionale quadricampione del mondo ha inopinatamente mancato la qualificazione all’ormai prossimo mondiale di calcio in Russia dopo 60 anni.
Quello che ne è seguito tra poltrone da preservare, lotte intestine, commissariamenti, scandali, fallimenti, inciampi dialettici (d’altronde, se l’istruzione è quella di cui sopra..) e sconfitte oltre confine, beh, è cronaca ancora, drammaticamente, attuale e poco ha a che fare con un vero disegno di ricostruzione tecnico-agonistica. E sia chiaro che le altre discipline, a cominciare dal basket e da sua maestà l’atletica, godono delle medesime miserie, amministrate come sono dai medesimi figuri, lasciate marcire dalle medesime consorterie.

Un po’ quello che succede nei palazzi della politica, un ambientino mai stato facile che, vivaddio, sapeva reggersi su alcuni principi condivisi come la gavetta, il rispetto dei ruoli, un linguaggio accurato e la scelta tendenzialmente meritocratica della classe dirigente.
E poi? Cosa è successo? Come siamo arrivati a ridurci così?
Il Parlamento è popolato da figure mitologiche metà turpiloquio e metà ignoranza (d’altronde, se l’istruzione è quella di cui sopra..), da carovane di pregiudicati e mestatori, da supposti sanificatori e certi affabulatori, in un tutti contro tutti da far rimpiangere prima repubblica, pentapartiti e accordicchi.

A parlare di tutti questi teatrini tricolori, sui media nazionali e locali, tradizionali e digitali, imperversano giornalisti o presunti tali che esibiscono grammatiche incerte (d’altronde, se l’istruzione è quella di cui sopra..), errori da matita blu e inflessioni dialettali che li rendono talmente familiari che li inviteresti a cena per toglierli dall’evidente impaccio.
Dicono che sia colpa dei tagli alle spese, che le prime vittime sono stati i cosiddetti correttori di bozze cui alcun apostrofo sfuggiva, che sia diventata prassi il ricorso da parte dei direttori all’ambizioso ed acerbo freelance. Sarà anche vero, resta il fatto che la funzione di alfabetizzazione, esercitata meritoriamente da quotidiani, radio e tv tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, è stata completamente ribaltata da un processo di dis-alfabetizzazione di cui, se mi è concesso, gradirei non arrivare a conoscere le conseguenze.

Non ho un’idea precisa di quando e come tutto questo abbia avuto inizio. Lascio volentieri l’analisi delle cause ai più esperti in materia.
Mi limito ad una più cruda disamina dello stato dell’arte e non posso che ricondurre il tutto ad una diffusa, strisciante e nociva incompetenza che, spiace dirlo, è innanzitutto in capo a chi ha il compito delle scelte.
Abbiamo progressivamente affidato ruoli delicatissimi ad una serie di personaggi di dubbio gusto, lacunosa cultura e spiccata predisposizione all’avanspettacolo.
Eh già, è proprio vero.
Ma è altresì vero che costoro rappresentano noi: sono la nostra faccia, le nostre passioni e le nostre idee nei diversi consessi che oggi critichiamo per la loro mediocrità quando noi stessi ci siamo progressivamente adagiati su un presunto benessere che se è (forse, ma proprio forse) economico, non è certamente intellettuale.
Eh già, è proprio vero.
Ma è altresì vero che poco stiamo facendo per sovvertire questa tendenza, che molto stiamo investendo in lamentele improduttive, che troppo ci stiamo affidando ai semidei che fanno man bassa di like, love & lol sui social network in una scoliosi rincoglionistica che ci fa regredire a proscimmie solo un po’ meglio vestite.
Eh già, è proprio vero.
Ma è altresì vero che ci sono esempi tutt’altro che negativi. Potremmo serenamente derubricarli alla voce eccezioni, fenomeni isolati e asistemici frutto dall’intuito, dalla buona volontà e dalle competenze di poche e acclarate eccellenze.

Ma proprio da queste ripartiamo, accidenti!
Ripartiamo dalla voglia di farci contaminare, ripartiamo dalla possibilità di frequentare persone capaci di ispirarci, ripatiamo da chi dimostra di valere in base ai risultati, e non più alle flatulenze, che produce.
Un prete coinvolgente che ci parli di un Cristo che viene a trovarci tutti i giorni; un docente illuminato che faccia innamorare della conoscenza; un atleta carismatico attraverso il sorriso di una medaglia conquistata col sudore e non coi selfie; un rappresentante delle istituzioni che coniughi il verbo della diplomazia al futuro della sua gente; un cronista che conosca la nostra magnifica lingua e la usi per scrivere di ciò che vede e di ciò che sa.
Tutti conosciamo almeno un punto di riferimento per ognuno di questi mondi.
Tutti conosciamo almeno un momento in cui siamo stati migliori di oggi.
Tutti conosciamo almeno un modo per respirare energia positiva dalle persone che ti danno ciò di cui hai bisogno e quando ti va di imparare piacevoli e pratiche strategie per raggiungere il tuo prossimo obiettivo, contattami così.